Gian Franco Pinna
Oggi, 8 dicembre, per rientrare a casa dopo il lavoro, mi ritrovo piacevolmente costretto a percorrere la SS51 di Alemagna. Sapevo che avrei trovato traffico, ma come sempre, sono preparato. Il mio viaggio è breve rispetto al restante popolo automobilistico che, per la maggior parte, ha destinazioni ben più distanti da Cortina. Li ammiro. Spendono ore in coda, sopportano attese chilometriche, ma sono già paghi della bellezza del posto.
Ed è proprio mentre attendevo di arrivare al mio bivio, vedendo questo fiume di auto e queste facce stanche e felici, che mi sono venute in mente tutte le polemiche legate al turismo e alla “rovina” delle Dolomiti. Ho visto il consumo, ma anche l’amore. Ho pensato che la verità fosse, come spesso accade in montagna, doppia.
E allora, non so perché, ho immaginato una conversazione con chi queste montagne le ha avute così tanto nella pelle e nel sangue da raccontarle poeticamente nelle cronache e nei libri: Dino Buzzati. Ho immaginato cosa, o come, scriverebbe oggi un suo articolo, in questi tempi moderni dove il progresso urla, ma talvolta salva.
Noi montanari, noi vecchi custodi di queste pallide rocche, siamo inclini alla visione tragica. Vediamo il progresso come un’armata straniera che avanza, passo dopo passo, divorando il sacro silenzio, sostituendo l’epica della fatica con la noia della comodità. È la sindrome della Fortezza Bastiani, dove il nemico atteso non è il Tartaro, ma il turista con lo zaino troppo leggero e il portafoglio troppo gonfio.
Eppure, a forza di gridare allo “sfruttamento cieco” e alla “smamnia di pomparne i soldi” – come fu nostra cura fare decenni fa – rischiamo di perdere di vista il rovescio della medaglia: il contrappasso che, pur nel suo materialismo, finisce per onorare, o persino salvare, ciò che è rimasto.
La Salvezza che Vola: Droni Contro Elicotteri
L’elicottero. Ah, la rumorosa, arrogante, spesa assurda per portare una cassa di vino o un sacco di cemento in quota. È il simbolo supremo della violazione, della ricchezza che ignora la gravità e l’etica della montagna. Genera un rumore orribile, spaventa le marmotte e turba la contemplazione del viandante.
Ma ecco il suo contrappasso tecnologico: il drone. Non è fantascienza. È cronaca.
Necessità del Rifornimento. Se i rifugi devono esistere come avamposti di civiltà e sicurezza, devono essere riforniti. Interrompere i rifornimenti aerei significherebbe esporre i portatori al rischio, o trasformare le vie ferrate in autostrade della logistica. L’elicottero, pur nel suo fragore, era l’unica soluzione efficiente.
La Nuova Etica del Volo. L’Alto Adige, come altre regioni d’avanguardia, sta sperimentando l’uso di droni da carico (payload) per le consegne a rifugi, per il trasporto urgente di materiali da costruzione leggeri, o persino per l’evacuazione di piccoli carichi sanitari. Questo piccolo prodigio non elimina il rumore, ma lo mitiga, ne riduce la durata e l’impatto. È più preciso, meno energivoro, e, diciamocelo, meno ostentato. È la tecnologia che accetta l’umiltà del servizio, non la superbia della conquista. Permette ai rifugisti di continuare il loro lavoro essenziale, con un costo etico e ambientale inferiore.
La Brandizzazione che Educa. Il Mito Non Muore, si Racconta
L’accusa di Brandizzazione – trasformare il sacro silenzio delle Dolomiti in un marchio da vendere, con sponsor, loghi e selfie a ogni angolo – è fondata. Sostituisce il mistero con la merce.
Ma il contrappasso è sottile: la diffusione planetaria dell’immagine.
La Scelta della Conservazione. È stato grazie alla capillare opera di narrazione e promozione, spesso veicolata dal “brand”, che l’intero sistema è stato riconosciuto Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Questo sigillo, pur spesso insufficiente, ha imposto vincoli e livelli di sorveglianza che prima non esistevano. È l’orgoglio del brand che, in ultima analisi, fornisce gli strumenti legali per difendersi da chi vorrebbe trivellare o deturpare impunemente.
Accesso alla Cultura. La promozione turistica porta con sé una domanda crescente di cultura alpina. Oggi, i musei di montagna, i centri visitatori, le fondazioni, ricevono finanziamenti e visibilità che prima erano impensabili. Il turista, arrivato per il selfie, finisce per leggere una storia di Tita Piaz, o di Paul Grohmann. La notorietà, se ben gestita, è il canale attraverso cui il mito, lungi dal morire, viene rispiegato a milioni di persone. Il rischio è alto, ma la posta in gioco è la sopravvivenza della narrazione.
Overtourism e Monitoraggio. L’Intrusione che Protegge
L’overtourism è l’altra piaga, l’esercito di sandali e bastoncini che calpesta la fragile erba alpina.
Il Problema della Conta. Un tempo, contare i passi sul Sella o sulla Marmolada era impossibile. L’eccesso era invisibile fino al collasso. Oggi, l’unica risposta seria, politica e scientifica all’overtourism è il monitoraggio digitale.
Il Contrappasso del Dato. L’eccessiva intrusione di telecamere, sensori, sistemi di prenotazione e big data è un elemento distopico. Ma è l’unico modo per ottenere i dati oggettivi necessari per l’intervento. Sono i dati di flusso (quanti passaggi, a che ora, con che mezzo) a permettere ai politici di Cortina o di Bolzano di imporre il numero chiuso sui passi, di limitare i parcheggi, o di finanziare un trasporto pubblico alternativo. È solo misurando l’eccesso che possiamo sperare di gestirlo.
Il dramma di queste montagne, in fondo, rimane lo stesso: l’attesa. Non più l’attesa di un nemico misterioso, ma l’attesa di capire se la tecnologia e la ricchezza che tanto deploriamo sapranno trovare l’equilibrio con l’etica e la bellezza che esigiamo. La montagna ci abitua alla rinuncia, ma chiede anche intelligenza. E a volte, la salvezza arriva su un volo, piccolo e preciso, di un drone, piuttosto che sulla forza epica di un uomo.




