Giacomo Francesco Moscato
Non è un titolo di coda, è un avviso ai naviganti. Belluno, laboratorio manifatturiero incastonato tra le Dolomiti, sembra galleggiare sopra le correnti: nel primo semestre 2025 le ore di Cassa Integrazione autorizzate scendono del 16%, mentre il Veneto sale e l’Italia accelera. A bilancio, resistenza; nella realtà, un equilibrio che vive di trattenuta del capitale umano e incentivi normativi. In altre parole: la tenuta c’è, ma non è gratis.
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Chiamatelo pragmatismo industriale o, con gli economisti, labor hoarding. Gli imprenditori mantengono in organico competenze rare anche quando gli ordini rallentano, perché formarle costa più che tenerle. È una scelta razionale in territori a bassa natalità e alto capitale tecnico. Il punto, però, è dove finiscono i costi: meno CIG oggi, più pressione su salute e previdenza domani. E i numeri nazionali sulle tecnopatie in crescita nel 2025 sono un campanello che non conviene ignorare.
Poi c’è la cronaca, quella che non entra nelle medie. A dicembre, Hydro Feltre e Ceramica Dolomite ricordano che bastano due decisioni esterne per trasformare la resilienza in angoscia: filiere congelate, famiglie in ansia, tavoli istituzionali convocati in urgenza. Il dato aggregato non è smentito; è completato. La montagna vive di casi concreti, non di astrazioni statistiche.
Il cuore della questione sta altrove: demografia e servizi. La natalità sotto il sei per mille e la mortalità stabile sopra il dodici per mille costruiscono un saldo naturale negativo che non si ribalta con gli slogan. Senza migrazione in entrata, la base demografica si assottiglia; senza presidi di prossimità — scuole, sanità, trasporti — la montagna perde abitanti prima ancora che posti di lavoro. L’economia tiene, la comunità fa più fatica.
Che fare? Uscire dalla comfort zone degli incentivi automatici e investire nell’abitabilità. Sanità vicino alle persone, didattica pensata per territori dispersi, connessioni logistiche e digitali che non costringano a scegliere tra lavoro e residenza. Nel frattempo, mettere mano a ciò che decide il destino produttivo: la successione imprenditoriale. Senza un passaggio generazionale assistito, l’industria di valle si sposta di testa e di centro decisionale, lasciando indietro il territorio.
Questa non è una chiamata al pessimismo. È una nota di margine nel bilancio: la resilienza contabile di Belluno è vera, ma fragile se non viene convertita in sostenibilità sociale. La montagna italiana non chiede trattamenti di favore; chiede politiche di prossimità che rendano razionale — e desiderabile — restare. Il resto lo faranno le imprese e le persone. A patto che ci sia un luogo, e un servizio, che le tenga.





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