In queste 72 ore, le Dolomiti sono una cattedrale di roccia e neve. A Bolzano–Bressanone, la diversità diventa ricchezza. A Trento, la fede educa alla vita. A Belluno e Udine, il silenzio parla più delle parole. Il presepe ligneo non è un soprammobile ma bensì è il Vangelo scolpito. Ha il profumo dell’abete e la durezza della pietra e resiste alle bufere.


24 dicembre – La Vigilia

La sera cala come un sipario pesante. Le Dolomiti si stringono nel gelo, e le valli respirano lente. Non è più tempo di mercatini, ma di attesa.

Nelle case ladine e tedesche si compie il Räuchern: l’incenso benedetto sale come un filo ostinato verso il cielo. Qui si capisce Matteo: “Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi.” (Mt 1,23). L’incenso non è profumo, è dichiarazione: Dio è con noi, anche tra queste pietre e queste travi annerite dal fumo.

Dalle torri della Val Gardena risuona il Turmblasen. Gli ottoni fendono l’aria, e il suono rimbalza sulle crode. È come l’angelo di Luca: “Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo.” (Lc 2,10). La montagna ascolta, e il vento porta l’annuncio fino alle stalle.

A Tres, in Val di Non, il borgo diventa Betlemme. La gente cammina nella neve, entra in chiesa e si ritrova dentro l’Eucaristia. A San Romedio, la Kalenda risuona contro la roccia: “Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato.” (At 13,33). La pietra stessa sembra trattenerlo, come se la montagna fosse testimone della promessa.

Nel Bellunese e Cadore, la neve scricchiola sotto gli scarponi. Le chiese di paese sono l’unico rifugio caldo. La candela che rompe l’oscurità non è ornamento: è la responsabilità di custodire la fiamma, come scrive Sant’Agostino: “Il Creatore dell’uomo si è fatto uomo, affinché l’uomo potesse riconoscere il suo Creatore.”


25 dicembre – Natale

L’alba porta una luce che taglia le crode. È il giorno della nascita, e la liturgia si fa solenne.

A Bolzano e Bressanone, il Pontificale trilingue intreccia italiano, tedesco e ladino. Qui si capisce San Leone Magno: “La nascita di Cristo è la nascita del popolo cristiano.” La Parola si fa carne in tutte le lingue, e i cori intonano Mozart e Haydn come se la musica fosse un ponte tra cielo e terra.

A Trento, l’omelia lega il Vangelo alla vita civica, alla responsabilità della comunità. Il costume ladino indossato per la Messa Granda non è folclore: è rispetto, è radice. Qui la fede educa alla vita, come dice Sant’Efrem: “Benedetto sia il Bambino che oggi ha reso bambini noi anziani.”

Nelle Dolomiti Friulane, la liturgia si fa essenziale. La lingua friulana porta il Vangelo “a casa”: poche parole, vicine, tangibili. È la concretezza che Mauro Corona avrebbe raccontato: la fede che non ha bisogno di orpelli, ma di mani callose e fuoco acceso.


26 dicembre – Santo Stefano

Il primo martire chiude il cerchio e apre la missione. Dopo la gloria del Natale, la liturgia riporta i piedi per terra.

Le messe mattutine nelle quali non parrocchie di Cortina, Moena, Dobbiaco hanno tono familiare. Non c’è orchestra, non c’è solennità: c’è la gente che si ritrova, i cori che cantano per stare insieme, i fedeli che si fermano sui sagrati innevati a parlare.

Qui si compie il senso del Natale alpino, la fede diventa vicinato e il paese si ritrova unito, come quando ci si aiutava a costruire casa, fienile, a raccogliere legna per il fuoco. La luce del Bambino non resta chiusa in chiesa, ma scende a valle, entra nelle cucine, nelle stalle, nei bar di paese. È la carità che prende forma, come voleva San Francesco: “Voglio celebrare la memoria del Bambino nato a Betlemme e vedere con i miei occhi le difficoltà che ha dovuto affrontare per mancanza del necessario.”

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