
Per secoli i licheni delle Dolomiti hanno rappresentato una componente essenziale degli ecosistemi alpini. Essendo organismi simbiontici estremamente sensibili, la loro fisiologia li ha mantenuti in un delicato equilibrio con le condizioni ambientali esterne di temperatura e umidità.
Storicamente la loro importanza ecologica come catalizzatori dei cicli dei nutrienti, formatori del suolo e indicatori ambientali era riconosciuta, ma erano considerati organismi “poco studiati”. Per lungo tempo, sono mancati dati di alta qualità sulla loro distribuzione e su come i fattori
climatici influissero sulle loro popolazioni. Le Alpi, pur essendo sempre state un ambiente dinamico, hanno mantenuto una stabilità climatica che ha permesso alle specie licheniche di prosperare, stabilendo modelli di distribuzione in funzione dell’altitudine.
Un tempo i licheni delle Dolomiti vivevano in un equilibrio quasi perfetto con l’ambiente alpino. Le estati fresche e gli inverni rigidi garantivano un clima relativamente stabile, mentre le precipitazioni distribuite lungo l’anno offrivano l’umidità necessaria a questi organismi poikilidrici, capaci di assorbire acqua e nutrienti direttamente dall’atmosfera. In questo contesto i licheni prosperavano, colonizzando rocce, tronchi e suoli poveri, diventando pionieri ecologici e indicatori naturali della qualità dell’aria e della salute degli ecosistemi montani.
Con l’accelerazione del cambiamento climatico, però, questo equilibrio si è incrinato. Le Alpi si stanno riscaldando a un ritmo doppio rispetto alla media globale e i licheni, sensibili a ogni variazione di temperatura e umidità, hanno iniziato a modificare la loro distribuzione. Alcune specie cercano rifugio alle quote più elevate, inseguendo condizioni più fresche,
mentre altre si spostano verso aree più umide e piovose, anche a quote inferiori. Non si tratta di un movimento uniforme: molte specie rischiano di perdere habitat idonei, altre trovano nuovi spazi di sopravvivenza, ma spesso questi rifugi climatici non coincidono con le aree protette già esistenti, rendendo più complessa la loro conservazione.
Nelle Dolomiti, questo processo si traduce in una progressiva riduzione della biodiversità lichenica e in una frammentazione degli habitat. Le specie rare e specializzate sono le più vulnerabili, mentre la pressione antropica – turismo, infrastrutture, inquinamento locale – amplifica le difficoltà di adattamento. I licheni, pur essendo fondamentali per i cicli ecologici e per la stabilità del suolo, rimangono spesso invisibili agli occhi del grande pubblico, e questo contribuisce a una scarsa consapevolezza della loro importanza.
Gli studi condotti dall’Università di Bologna e dal progetto Dolichens hanno mostrato che non tutto è perduto. Esistono ancora possibilità di sopravvivenza, purché si adottino strategie di conservazione dinamiche e si estendano le aree protette verso i nuovi rifugi climatici individuati. Le Dolomiti diventano così un laboratorio naturale per comprendere come gli ecosistemi alpini si trasformano sotto la pressione del riscaldamento globale. La conclusione degli scienziati è chiara: i licheni non sono condannati, ma la loro sopravvivenza dipenderà dalla capacità di anticipare i cambiamenti e di accompagnarli con politiche di tutela mirate, capaci di preservare non solo la bellezza di queste montagne, ma anche la loro fragile e preziosa biodiversità.





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