Il primo volo del Dirigibile Dolomiti è partito lo scorso lunedì 24 novembre 2025 per rientrare nella notte di ieri, ultima domenica del mese e consegnare il primo rapporto. Se dovessimo tracciare la rotta basandoci su “venti contrari”, diremmo che Il Dirigibile Dolomiti ha volato sopra un territorio che economicamente tiene (turismo, export), ma socialmente scricchiola (astensionismo record, tensioni sindacali, fratture nei partiti). La narrazione non è quella di un “Mulino Bianco” alpino, ma di una terra che chiede a gran voce rappresentanza vera e sicurezza sul lavoro, non solo vetrine natalizie.

Diario di bordo – 1 Dicembre 2025

Il Dirigibile Dolomiti scivola silenzioso sopra una coltre di nubi basse che nascondono le valli, lasciando emergere solo le creste aguzze, indifferenti alle faccende degli uomini. Da quassù, sospesi nel freddo metallico dell’inverno, abbiamo raccolto per sette giorni i segnali che salivano dal basso. Non erano solo notizie, ma vibrazioni: alcune di trionfo, altre di sorda inquietudine.

Sorvolando il Veneto e il Bellunese, il radar ha registrato un evento strano. I dispacci ufficiali parlavano di una grande vittoria, una roccaforte che resiste. Alberto Stefani ha trionfato, dicono i numeri, con quel 61,14% che ha il sapore del marmo solido, inattaccabile. Ma mentre il Dirigibile passava sopra le urne, ciò che ci ha colpito non è stato il rumore della festa, bensì il silenzio. Un silenzio vasto, pesante. Era l’assenza di quel 65% di anime che non si sono presentate. Dalle case chiuse, dalle frazioni isolate, saliva un muto dissenso, un sussurro che contraddiceva le fanfare: “Hanno vinto, ma chi li ha scelti davvero?”. La sconfitta del generale Manildo e del centrosinistra è apparsa piccola cosa rispetto a questo vuoto oceanico, a questa delegittimazione sottile che fa tremare le fondamenta del palazzo, anche se nessuno, nei brindisi ufficiali, sembra volerlo ammettere.

Spostando la rotta verso ovest, sopra le acque scure del Garda, il Dirigibile è stato investito da una colonna di fumo nero. A Riva del Garda, dentro il ventre della Cartiera Fedrigoni, il mostro di fuoco si è svegliato durante banali lavori sul tetto. Dall’alto abbiamo visto l’efficienza, la macchina dei soccorsi muoversi come un orologio: settanta vigili, evacuazione perfetta, la vita salvata. “Il sistema tiene”, dicevano le voci rassicuranti della direzione, “la resilienza è la nostra forza”. Ma appena sotto quella coltre di fumo, il vento ci ha portato le voci aspre delle officine, i timori delle tute blu che vedono nello spettro della Cassa Integrazione un nemico più temibile delle fiamme. “Non si può rischiare la vita per la manutenzione”, gridava l’eco sindacale, rompendo la narrazione dell’incidente come pura fatalità. Lì sotto, tra le macchine ferme, la paura ha preso il posto della carta.

E mentre risalivamo verso Trento, persino nel monolite della politica locale abbiamo sentito scricchiolii. Non da fuori, ma da dentro. Nella casa di Fratelli d’Italia, voci discordanti si rincorrevano come correnti d’aria in un corridoio. Da una parte l’ordine, il richiamo all’unità della Presidenza, severo e geometrico. Dall’altra, la voce solitaria di Zanetti, che chiedeva “più libertà, più democrazia”, come un viandante che bussa a una porta che non si vuole aprire. È il suono di una frattura, lieve per ora, ma che nella quiete della montagna risuona come un tuono lontano.

Eccoci sopra le piazze di Bolzano e Lienz. Qui, per coprire il silenzio degli astenuti e il crepitio delle fiamme, gli uomini hanno acceso milioni di piccole luci. Sono i Mercatini di Natale. Dall’alto sembrano bracieri magici messi lì per scacciare la notte. “È la stagione della rinascita, il turismo ci salverà”, cantano gli albergatori e i mercanti, celebrando la neve arrivata puntuale come una benedizione. Eppure, anche qui, il Dirigibile ha captato il controcanto dei residenti, intrappolati nelle loro stesse valli, che guardano le strade intasate e i passi innevati con l’occhio diffidente del montanaro: “Belle le luci per chi viene da fuori, ma noi qui rischiamo l’isolamento”.

Infine, eccoci sopra le piazze di Bolzano e Lienz. Qui, per coprire il silenzio degli astenuti e il crepitio delle fiamme, gli uomini hanno acceso milioni di piccole luci. Sono i Mercatini di Natale. Dall’alto sembrano bracieri magici messi lì per scacciare la notte. “È la stagione della rinascita, il turismo ci salverà”, cantano gli albergatori, celebrando la neve arrivata puntuale come una benedizione. Eppure, anche qui, il Dirigibile ha captato il controcanto dei residenti: “Belle le luci per chi viene da fuori, ma noi qui rischiamo l’isolamento”.

Ma il nostro radar, virando ancora, intercetta un’altra forma di vita, più frenetica e umana, che si agita nei grandi padiglioni e negli stadi. A Longarone, la Fiera del Gelato appare come un miraggio paradossale: mentre fuori il termometro scende, dentro si celebra il freddo dolce, quello che sa di zucchero e di estate lontana, un rito che unisce l’imprenditoria in una promessa di futuro godimento. Tutt’altro respiro sale invece da Pordenone. Lì non si vendono illusioni per il palato, ma si coltiva lo spirito e il corpo; la città vibra di una bellezza colta, tra libri e corse, dove lo sport diventa un argine alla malinconia della pianura.

Ed è proprio il ruggito dello sport l’ultimo suono che investe la carlinga del Dirigibile prima del rientro. Non è il vento, ma il boato che sale dallo Stadio Druso: il Bolzano Calcio combatte la sua battaglia in Serie B, ventidue uomini che corrono su un prato verde che sembra sfidare il bianco delle cime. Poco lontano, nei palazzetti, risuona secco il colpo del volley, geometrico e potente. Sono queste le voci che vincono la paura: il tifo, la fiera, la partita. Un frastuono vitale che per novanta minuti, o per il tempo di un cono gelato, ci fa dimenticare che lassù, sopra le nostre teste, le Dolomiti ci osservano immense, bellissime e terribilmente serie.

Il Dirigibile spegne i motori. La settimana è archiviata.

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