Marmolada — La montagna più alta delle Dolomiti torna a parlare con la voce dura dell’inverno. È la voce di una valanga che sabato pomeriggio, sotto Punta Rocca, ha travolto un freerider romano di 31 anni, trascinandolo per decine di metri e facendolo precipitare in uno dei crepacci che segnano il versante alto della Regina. L’uomo è stato recuperato vivo, in condizioni disperate, e trasportato al Santa Chiara di Trento. È morto nella notte, nonostante i tentativi dei sanitari di salvarlo.
La dinamica è quella che ogni soccorritore teme: un traverso fuoripista in un tratto ripido, la neve che cede sotto il peso di uno sciatore, il distacco improvviso. La massa nevosa lo ha trascinato oltre un salto di roccia, inghiottendolo in un crepaccio profondo. Gli amici, che non lo vedevano rientrare, hanno lanciato l’allarme dopo mezz’ora di silenzio. Da lì è iniziata una corsa contro il tempo.
L’elicottero del Soccorso alpino trentino ha individuato subito la colata. In quota sono arrivate due unità cinofile, operatori delle stazioni Alta Fassa e Moena, tecnici specializzati nel recupero in ambiente glacio-nivale. Hanno lavorato a lungo, sondando la neve, calandosi nel crepaccio, muovendosi in un terreno che non perdona. Quando lo hanno raggiunto, il freerider era ancora vivo, ma gravemente traumatizzato e in ipotermia profonda.
Il suo recupero, complesso e rischioso, racconta molto della natura di quel versante: alta quota vera, neve ventata, crepacci mascherati, esposizione continua. Non un fuoripista “di bordo pista”, ma un ambiente che richiede la stessa consapevolezza dello sci alpinismo. E che, in giornate come queste, può trasformarsi in trappola.
La tragedia arriva nel pieno delle festività, mentre le Dolomiti registrano affluenze record e un numero crescente di interventi sulle piste. Ma la Marmolada è un’altra cosa: è un mondo a parte, dove la linea tra libertà e rischio è sottile e dove la tecnica non basta se non è accompagnata da lettura del terreno, prudenza e capacità di rinuncia.
Il lavoro dei soccorritori, impeccabile e instancabile, non è bastato. E non poteva bastare. In certi scenari, il margine di salvezza si gioca prima del distacco, nelle scelte che precedono la discesa.
La morte del giovane freerider riapre un tema che ritorna ogni inverno: come raccontare la montagna senza edulcorarla, come trasmettere la bellezza del gesto senza nascondere la sua fragilità, come conciliare turismo, libertà e responsabilità. La Marmolada, ancora una volta, ci ricorda che la montagna non è un parco giochi. È un luogo vivo, complesso, magnifico e severo. E chiede rispetto.




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